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COP30 a Belém: cosa aspettarsi a 10 anni dall’Accordo di Parigi

COP30 a Belém: cosa aspettarsi a 10 anni dall’Accordo di Parigi

Da lunedì 10 novembre a venerdì 21 novembre 2025 si terrà la COP30 a Belém, nel cuore della foresta amazzonica in Brasile. Sono ancora molte le questioni rimaste aperte e le urgenze da affrontare.

Serena Giacomin, fisica dell’atmosfera, climatologa e meteorologa, direttrice scientifica Italian Climate Network [03/11/2025]

A pochi giorni dalla COP30 di Belém, l’eredità lasciata da Baku è quella di una diplomazia climatica ancora in bilico tra ambizione e difficoltà. La COP29 ha chiuso un ciclo politico segnato dalla distanza tra ciò che la scienza del clima dimostra con chiarezza e ciò che la politica riesce a tradurre in azioni concrete. L’accordo di Baku sul New Collective Quantified Goal on Climate Finance rappresenta un passo avanti nella definizione degli obiettivi post-2025 per la finanza climatica, ma restano nodi irrisolti sull’attuazione e sulla trasparenza dei flussi, cruciali per colmare il divario tra promesse e realtà.

Sul piano scientifico, i dati descrivono un sistema climatico che continua a rispondere in modo sempre meno lineare alle forzanti antropiche. Nel 2024, le emissioni globali di gas serra hanno toccato un nuovo record di 53,2 miliardi di tonnellate di CO₂ equivalente, in aumento dell’1,3% rispetto al 2023 (JRC-EDGAR). Solo l’Unione Europea
(-1,8%) e il Giappone (-2,8%) hanno registrato un calo, mentre le grandi economie emergenti restano in crescita.

La decarbonizzazione globale procede, ma a velocità insufficiente: per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C servirebbe una riduzione del 42% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 (UNEP, Emission Gap Report 2024).

Le conseguenze di questo ritardo si leggono nella crescente estremizzazione climatica: ondate di calore più lunghe e intense, precipitazioni più concentrate e violente, alternanza anomala tra siccità e alluvioni. È la manifestazione fisica di un sistema climatico in disequilibrio energetico, dove l’aumento della
temperatura media amplifica l’energia disponibile per gli eventi estremi.

Il nuovo NDC Synthesis Report 2025 dell’UNFCCC mostra un avanzamento nella qualità degli impegni: l’89% delle Parti ha obiettivi “economy-wide” e l’80% ha aggiornato i propri NDC alla luce del primo Global Stocktake. Tuttavia, anche includendo tutti i nuovi contributi, la riduzione collettiva stimata al 2035 si ferma al -17% rispetto al 2019 – troppo poco per invertire la curva delle emissioni e contenere
l’amplificazione degli eventi estremi. Mancano inoltre all’appello diversi NDC, in particolare da parte di Paesi ad alte emissioni cumulative, in ritardo con la consegna dei nuovi obiettivi.

Un segnale incoraggiante arriva però dall’inclusione, nel 73% dei nuovi NDC, di componenti dedicate all’adattamento e alla resilienza. È un passaggio concettuale importante: la crisi climatica non si misura più solo in tonnellate di CO₂, ma anche nella capacità dei sistemi naturali e socio-economici di resistere e adattarsi agli impatti.
L’adattamento, se ben pianificato, è oggi una condizione imprescindibile per la sicurezza climatica dei territori, soprattutto in un contesto di crescente instabilità meteorologica.

L’esperienza europea dimostra che mitigazione e crescita economica possono coesistere: le emissioni dell’Unione Europea sono diminuite del 37% rispetto al 1990, mentre il PIL è aumentato del 68%. È la prova empirica che la transizione energetica, se sostenuta da innovazione tecnologica e governance efficace, non frena lo sviluppo ma lo orienta verso una maggiore efficienza.

La COP30 di Belém potrà segnare un punto di svolta solo se riuscirà a collegare il comportamento politico al messaggio scientifico: tradurre gli NDC in strumenti misurabili, comparabili e monitorabili, rafforzando il ruolo degli inventari nazionali di gas serra come base per valutare i progressi.

La trasparenza dei dati sarà decisiva, soprattutto nei settori a maggiore incertezza come uso del suolo, foreste e filiere agricole. In questo contesto, la proposta del Brasile per un Tropical Forests Forever Fund apre la prospettiva di una finanza climatica legata ai servizi ecosistemici, riconoscendo alle foreste tropicali un ruolo
strutturale nella regolazione del sistema climatico planetari.

La transizione è in corso e fisicamente irreversibile, ma il tempo utile per governarla si restringe. Belém dovrà segnare il passaggio dall’ambizione all’attuazione, affinché la scienza continui a guidare la politica e non viceversa.

Approfondimenti

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