Alluvioni, frane ed eventi estremi: il punto sull'adattamento climatico

Considerati i recenti fenomeni alluvionali e franosi, dalle Marche alla Campania, stiamo raccogliendo dichiarazioni di esperti sullo stato dell’adattamento climatico in Italia. In aggiornamento.

Francesca Giordano, Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale [05/12/2022]

Quali misure è necessario adottare per prevenire gli impatti di frane e alluvioni come quelle che di recente si sono verificate in Italia, considerando anche il dissesto idrogeologico?

Eventi di precipitazione particolarmente intensi sono stati fattori scatenanti delle più recenti tragedie che hanno colpito il nostro paese: alluvione di Senigallia e frana di Ischia. Oltre alla pericolosità degli eventi meteorologici estremi, sugli esiti disastrosi di tali fenomeni pesano, tuttavia, la grande fragilità dei territori nonché l’esposizione di persone, edifici e servizi localizzati in zone a rischio. Tali accadimenti sono l’ulteriore conferma dell’elevato rischio idrogeologico del territorio italiano: quasi il 94% dei comuni sono, infatti, a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera (Rapporto ISPRA su Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio del 2021). Con l’incremento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi, previsto con ogni probabilità nei prossimi decenni a causa del cambiamento climatico, l’Italia sarà chiamata a migliorare in maniera determinante la propria preparazione rispetto a tali rischi, incrementando la capacità di rispondere ai crescenti stress di natura climatica.

Sulla scorta di quanto indicato a livello europeo dalla nuova Strategia di adattamento, urge la necessità di accelerare sul fronte della pianificazione dell’adattamento e di passare rapidamente all’implementazione di soluzioni concrete finalizzate a mettere in sicurezza il territorio, ad assicurare il benessere e la salute della popolazione, a preservare il patrimonio naturale e a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici. Molte Regioni italiane hanno già avviato percorsi di predisposizione di Strategie e/o Piani di adattamento ai cambiamenti climatici, pur in mancanza di un quadro organico nazionale, e diverse città, soprattutto tra le medio-grandi, sono da anni impegnate sul fronte dell’adattamento ai cambiamenti climatici. La ricetta non è semplice, ma sul fronte della gestione dei rischi associati agli eventi di precipitazione estrema si dovranno utilizzare approcci strutturali come la cosiddetta messa in sicurezza dei territori, la riduzione dell’artificializzazione e della cementificazione con inversione di rotta verso la deimpermeabilizzazione dei suoli, la costruzione di opere idrauliche ma anche interventi soft come l’utilizzo dei metodi di allertamento e la formazione dei cittadini affinché adottino comportamenti adeguati alle situazioni di maggior pericolo.

Carlo Cacciamani, Direttore ItaliaMeteo [03/12/2022]

Quanti danni si sarebbero verosimilmente potuti evitare attuando le azioni del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC)? A che punto è l’Italia sull’adattamento climatico?

Non so dire quanti di questi danni si sarebbero potuti evitare. È difficile fare una stima esatta del genere. Lo si può fare, e spero che lo si faccia, attraverso una simulazione dell’evento con applicazione/non applicazione delle azioni di riduzione. Attraverso questi scenari cosiddetti what-if si può realmente avere una quantificazione del danno evitato. In maniera molto meno quantitativa, ma solo per dare un’idea, potrei dire che, con un’attenta applicazione dei sistemi di allertamento si possono ridurre se non addirittura azzerare le perdite di vite umane. Fare un’evacuazione di un quartiere di una città, o di un intero paese ha certamente un costo, certamente, ma azzera la possibilità che ci possano essere dei decessi, nel caso in cui la piena del fiume, per esempio, si verifichi. Certo, ci possono essere i costi dei falsi allarmi, è assolutamente vero, ma a quanto ammontano, rispetto al costo di una vita umana?

Rispondere però a questa domanda in modo esaustivo e generale non è però facile, se si vuole quantificare bene la risposta. Posso fare qualche esempio ulteriore concreto, per rendere l’idea, e poi la generalizzazione la si può anche estrapolare.

Per esempio, per limitare i danni da rischio idraulico, sono necessarie azioni di riduzioni del rischio, che a tutti gli effetti sono azioni di adattamento al cambiamento climatico, che tale rischio contribuisce a incrementare, sia di tipo “strutturale”, sia di tipo “non strutturale”. Tra le prime possiamo annoverare il potenziamento di arginature fluviali affinché non si abbiamo “sormonti” o, peggio, rotture arginali con conseguenti allagamenti. Si possono costruire casse d’espansione, cioè aree dove mettere parte dell’acqua di un fiume durante un evento di piena importante, per ridurre quella che rimane in alveo e garantire quindi il passaggio della piena quando questa interessa una città, per esempio. Una cassa d’espansione, che può costare qualche decina di milioni di euro, può evitare l’allagamento di una intera città di media dimensione, o parte di una metropoli.

Quanti sono i danni per un allagamento di una intera città? Nell’alluvione accaduta a Parma del 2014, causata dalla esondazione del torrente Baganza, sono stati stimati più di 100 milioni di euro di danni. Danni che non ci sarebbero probabilmente stati se all’epoca ci fosse stata la cassa d’espansione in uso, a monte di Parma, sul Baganza. Un solo danno evitato può ripagare il costo di un intervento che sembra, a prima vista, così elevato. Un solo intervento che mette in sicurezza essenzialmente per sempre o quasi, una città. Inoltre, la stima del danno è molto cautelativa, perché ai danni diretti (allagamento di case, di auto, ecc.) si devono aggiungere le possibili perdite di vite umane (che valore ha una vita umana?) e i danni indiretti (per quanti mesi/anni, dopo un’alluvione, un territorio non può essere più produttivo? Quanto costa la ricostruzione, quanto costa il ritorno alla normalità dell’economia, dei commerci e così via?

Ma poi ci sono anche le azioni di tipo “non strutturale”, come i sistemi di preannuncio e di allerta (gli Early Warning System), che servono per allertare le popolazioni e magari farle evacuare per tempo dalle abitazioni, e queste azioni costano certamente molto meno e permettono, se usate bene, se non di eliminare i danni alle cose, magari di evitare la perdita di vite umane.

Ho fatto solo l’esempio del rischio idraulico. Ma moltissimi altri sono gli ambiti di applicazione previsti dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, approvata ormai quasi dieci anni fa in Italia, ma alla quale non è ancora seguita un Piano (PNACC) con evidenziate le tempistiche di realizzazione, le priorità d’azione, i costi, ecc. Si pensi solo all’agricoltura e alla risorsa idrica che può scarseggiare, come è già capitato molte volte in Italia negli ultimi anni (siccità del 2017, del 2019 e anche del 2022). Solo un evento siccitoso può creare danni in agricoltura che in un solo anno può ridurre di qualche decina percentuale la produzione. In generale, i costi per evitare i danni, attraverso una piena attuazione di un Piano di adattamento, sono veramente minimali rispetto ai danni che si possono produrre senza l’applicazione di tali azioni. Il problema è che un’analisi costo/danno del genere, essenziale per prendere una decisione, confronta il costo certo di una azione di adattamento, contro un danno molto probabile, ma non certo. E questo confronto, del tutto senza senso a mio parere, ma che viene costantemente fatto, frena, a mio parere, l’avvio vero alle azioni di adattamento. 

Purtroppo, continuare ad attendere può risultare estremamente pericoloso: il rischio è troppo alto per indugiare ancora.