COP27: il punto

La COP27 di Sharm El-Sheikh è terminata. Stiamo chiedendo un commento a vari esperti italiani che si occupano di negoziati, di scienza del clima e di giornalismo, presenti alla COP27. In aggiornamento.

Simone Borghesi, Direttore di Florence School of Regulation – Climate, Presidente eletto EAERE, Prorettore alle Relazioni Internazionali Università di Siena [29/11/2022]

Considerando che la COP27 doveva essere una COP di implementazione, non posso nascondere un po’ di delusione sugli esiti.

Ci sono sicuramente alcuni elementi importanti da salvare. Primo tra tutti il raggiungimento di un accordo su loss and damage. Parliamo di una questione sollevata da ben trent’anni, quando nel 1991 la Repubblica di Vanuatu propose un sistema internazionale di compensazione dei piccoli stati-isola a rischio di essere sommersi dall’innalzamento del mare, finanziato da parte dei Paesi responsabili delle emissioni di gas serra. Quello del loss and damage rappresenta quindi un risultato storico, ma resta un accordo ancora da riempire di contenuti e da implementare, e del quale parleremo ancora per un bel po’, perché i passaggi più importanti sono quelli che avverranno in seguito.

I problemi che vedo per il futuro sul piano delle politiche climatiche riguardano soprattutto il ruolo della Cina, che si dichiara Paese in via di sviluppo, ma che in realtà non lo è. Quindi sarebbe fondamentale che riconoscesse il suo ruolo a livello mondiale e la sua crescente responsabilità.

In questo senso, un importante risultato che vedo è quello ottenuto a Bali e cioè la riapertura del dialogo tra Cina e Stati Uniti. Si tratta di un dialogo fondamentale per realizzare una coalizione abbastanza ampia da raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Il dialogo si era interrotto con l’amministrazione Trump ed era peggiorato negli ultimi anni, ma questa apertura mi sembra essere un buon segnale.

Speravo che con la COP27 si ottenesse qualcosa di più sull’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che regola gli aspetti legati ai mercati del carbonio e alla cooperazione internazionale in questo contesto, ma questo tema al momento è stato sostanzialmente posposto. Nel mentre il tempo passa veloce. Purtroppo i tempi degli accordi internazionali sono troppo lenti rispetto alla rapidità con cui dovremmo intervenire per frenare il cambiamento climatico.

Nel giro di pochi mesi cominceremo a parlare di COP28 e mi aspetto che sarà molto concentrata su come rimuovere la CO2 piuttosto che su come ridurla, vista la scelta di organizzarla a Dubai e considerando quanto il Paese ospitante influenza indubbiamente l’agenda della COP. Non è un caso che i progressi maggiori siano stati quelli fatti a Parigi, cioè in un Paese motivato come la Francia a dare una svolta e a segnare una tappa storica per le COP. Non credo che negli Emirati Arabi Uniti ci sia questa stessa volontà di cambiamento. Il tema delle tecnologie per rimuovere la CO2 è certamente importante, ma non può diventare una scusa per continuare ad emettere; non può farci dimenticare che il focus fondamentale deve rimanere su mitigazione e adattamento che devono avvenire di pari passo.

Si usa dire che discussioni e negoziati delle COP siano come una maratona, una prova di resistenza, e non uno sprint. Il punto è che qui bisogna arrivare in tempo alle tappe intermedie, come  in una marcialonga. In questo senso il testimone va già passato alla tappa successiva e dobbiamo iniziare già a lavorarci. Serve un’accelerata.

Ferdinando Cotugno, giornalista di Domani [21/11/2022]

Le COP non possono essere giudicate in modo binario, su un asse bene/male, perché sono eventi complessi, che si prestano solo a letture articolate.

È la prima conferenza sui cambiamenti climatici nella quale si decide di affrontare la crisi al tempo presente e non a quello futuro, come qualcosa da navigare e non solo da prevenire. Da qui il successo di aver creato un fondo per i danni e le perdite, la cui operazionalizzazione sarà però complessa e richiederà anni di negoziato. Doveva essere una COP di implementazione e transizione, invece sono state avviate riforme che potrebbero cambiare la geopolitica e la forma del mondo, come quella delle banche multilaterali di sviluppo e del sistema del debito, una delle novità più interessanti del vertice.

Molto deludente la parte di mitigazione, quindi di prevenzione degli effetti peggiori della crisi climatica. Si è scelto di rimanere sulla trincea di COP26 a Glasgow senza fare nessun avanzamento sulla rinuncia ai combustibili fossili, che escono da Sharm El Sheikh più forti di come ci erano entrati. Ultima nota sul paese ospitante: i conflitti di interesse economici ed energetici sono stati lampanti e saranno ancora più un tema a COP28, che si terrà nel 2023 a Dubai.