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"Classifica" delle Regioni italiane verso la neutralità climatica

È uscito il rapporto La corsa delle Regioni verso la neutralità climatica 2022 redatto da Italy for Climate in collaborazione con ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Il documento ha l’obiettivo di delineare lo stato attuale delle emissioni di CO2, dei consumi di energia e di quota di rinnovabili delle diverse Regioni italiane.

Marta Galvagno, ARPA (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) Valle d’Aosta [26/11/2022]

Il rapporto è in effetti una sintesi che permette di prendere coscienza in modo immediato del livello di decarbonizzazione del paese. I risultati del rapporto, che analizza nello specifico l’anno 2020, ma anche il trend 2018-2020, evidenziano la necessità di accelerare l’azione climatica per poter rimanere in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

La conclusione principale del rapporto è che «nessuna Regione può dirsi in linea con gli obiettivi europei al 2030 e con quello della neutralità climatica». Ma come si valuta questa linea? Il rapporto di Italy for Climate esamina 3 tre parametri chiave: le emissioni di CO2 pro capite, i consumi di energia pro capite, e i consumi energetici soddisfatti da fonti rinnovabili, evidenziando le differenze regionali. Tuttavia, tra gli assenti di questa lista, troviamo gli obiettivi climatici delle Regioni, ovvero la rotta di riduzione delle emissioni di gas serra programmata dalle Regioni per gli anni futuri. La Valle d’Aosta, per esempio, secondo il rapporto una delle Regioni con i valori più alti di CO2 pro capite, ha redatto nel 2019 le linee guida per la decarbonizzazione (Roadmap per una Valle d’Aosta Fossil Fuel Free al 2040) e sta attivamente includendo queste indicazioni all’interno della pianificazione territoriale di settore. Quali Regioni hanno redatto linee guida o piani di mitigazione di questo tipo? E come possono essere di supporto ad altre Regioni? Come per il livello nazionale si valuta la congruità degli NDCs (Nationally Determined Contributions), rispetto al raggiungimento dei target dell’Accordo di Parigi, anche l’analisi degli obiettivi delle Regioni può dare un’indicazione dell’ambizione delle stesse rispetto agli obiettivi nazionali.

Questo tipo di informazione richiederebbe ovviamente un dialogo diretto con le Regioni, che allo stato attuale probabilmente non è stato possibile prevedere dal rapporto. La situazione fotografata da Italy for Climate ci dice giustamente che è necessario accelerare l’azione per il clima a livello italiano, ma il ranking delle Regioni al 2020 non è necessariamente ricollegabile a politiche climatiche “virtuose” delle singole Regioni rispetto ad altre. Guardando i singoli settori, è ipotizzabile piuttosto che talune differenze siano legate a specificità territoriali, come il numero di gradi giorno e il conseguente periodo di riscaldamento o la presenza di industrie in Regioni con una bassa densità di popolazione. Infine, un indicatore che potrebbe introdurre indicazioni sulla gestione del territorio da parte delle Regioni (ma anche ulteriori differenze legate a peculiarità territoriali) sono le emissioni nette, ovvero la differenza tra le emissioni e gli assorbimenti di CO2.

Le Regioni svolgono indubbiamente un ruolo attivo nel processo di decarbonizzazione del Paese, dal momento che hanno la potenzialità di mettere in atto azioni concrete per il clima calibrate rispetto al territorio, ottimizzando le azioni di riduzione delle emissioni rispetto alle principali fonti identificate. Il rapporto si pone l’importante obiettivo di stimolare un maggior coinvolgimento delle Regioni. Tuttavia, il sistema della classifica, i cui criteri non ponderano adeguatamente le peculiarità demografiche e socio-economiche delle Regioni e poi ripreso dai media per stilare giudizi sulla virtuosità di una o dell’altra parte d’Italia, può trarre in inganno il decisore politico fornendo informazioni che in effetti restituiscono un quadro non approfondito della propria situazione territoriale. In questo contesto, si rivela sempre più cruciale diminuire la distanza tra scienza e politica, attraverso processi partecipativi, per condividere gli obiettivi e favorire la pluralità dei contributi e delle esperienze.