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Il punto sull'efficientamento energetico

Il ruolo dell’efficientamento energetico è tornato alla ribalta. Si pensi ai recenti provvedimenti europei in materia di “Case Green” e al dibattito italiano sulla modifica delle misure di ristrutturazione edilizia volte ad aumentare la classe energetica della propria abitazione.

Abbiamo raccolto i commenti di alcuni esperti per fare ordine riguardo al ruolo dell’efficienza e dell’efficientamento energetico.

Elena Verdolini, Docente di Economia Politica presso Università degli Studi di Brescia, Senior Scientist presso RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment, Lead Author AR6-IPCC [04/04/2023]

L’efficientamento energetico rappresenta una opzione di riduzione delle emissioni che dovrebbe essere perseguita senza ombra di dubbio. Nel recente Sesto Rapporto di Valutazione IPCC, viene annoverata tra le opzioni di mitigazione a basso o bassissimo costo (meno di 20 dollari per tonnellata di CO2), e perseguibile nel breve periodo in tutti i settori delle nostre economie. Questo si vede sia per edifici, che industria, che trasporti, nella figura SPM7 del Summary for Policy makers del terzo volume dell’ultimo rapporto IPCC. Stimare il potenziale di riduzione CO2 è complicato, ma la figura fa vedere che al 2030 sommando il potenziale contributo di efficienza in tutti i settori si potrebbero ridurre le emissioni di oltre 4 miliardi di tonnellate di CO2 più o meno.

Aumentare l’efficienza energetica significa infatti ottenere lo stesso livello di utilità, benessere o produzione con un minor dispendio di energia. Ci sono due strade principali per aumentare l’efficienza energica: la prima consiste nel ridurre gli sprechi nei processi produttivi o nell’utilizzo di servizi. In questo caso, si ottiene un indubbio risparmio di energia e di costi a fronte della stessa qualità di beni e servizi. La seconda si raggiunge investendo in tecnologie e soluzioni più moderne ed efficienti, per esempio promuovendo in ogni settore l’adozione delle cosiddette best available tecnologies, le tecnologie più efficienti sul mercato. In quest’ultimo caso, l’efficientamento energetico e il risparmio si ottengono a fronte dell’investimento necessario per acquisire la nuova tecnologia. I benefici e risparmi si cumulano nel tempo, ma i costi vanno sostenuti immediatamente.

L’efficientamento energetico da solo non porta però a riduzioni di emissioni sufficienti per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi: a tal fine è necessario promuovere tecnologie a basse o zero emissioni – prime tra tutte le energie rinnovabili che permettono la decarbonizzazione del sistema energetico – ed è necessario mettere in atto strategie di contenimento della domanda di energia. Importante evitare il meccanismo noto come energy rebound effect, ben descritto dagli economisti dell’energia: a fronte di un efficientamento dei processi produttivi, e di una associata riduzione dei costi e dei prezzi, un determinato bene o servizio diventa meno caro, e questo porta un numero maggiore di consumatori a farne richiesta. Questa dinamica intacca il potenziale di riduzione della domanda di energia associato con l’efficientamento, e può portare anche a un aumento della domanda di energia a livello globale e delle emissioni a esso associate. Efficientamento energetico dunque cruciale, ma necessariamente come parte di un più largo portafoglio di politiche a supporto della decarbonizzazione.

Gianluca Ruggieri, Università dell’Insubria [06/04/2023]

Secondo i dati della Commissione Europea nei 27 Stati Membri gli edifici sono complessivamente responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni legate all’energia. Queste proporzioni non sono però esportabili per paesi con climi o condizioni economiche differenti. Per questo motivo quando l’IPCC calcola il potenziale di riduzione delle emissioni a breve termine (entro il 2030) l’efficienza energetica negli edifici non ricopre un ruolo particolarmente significativo.

L’Unione Europea si è mossa da tempo per il miglioramento dell’efficienza degli edifici. La prima direttiva (Energy Performance of Building Directive, EPBD) in materia risale infatti al 2002, introducendo un meccanismo per la certificazione energetica degli edifici, sulla scorta di quanto già fatto per esempio per gli elettrodomestici. Lo scopo era quello di poter valorizzare sul mercato immobiliare gli edifici più efficienti. Ottimi risultati sono stati ottenuti sul fronte delle nuove costruzioni, che devono rispettare requisiti minimi obbligatori. L’EPBD è stata aggiornata nel 2010 e 2018 introducendo criteri sempre più stringenti.

Addirittura dal 1° gennaio 2021 tutti gli edifici nuovi o quelli su cui si interviene con una demolizione e ricostruzione devono essere edifici a consumo energetico “quasi zero” (Nearly Zero Energy Building, NZEB) edifici a elevate prestazioni con un consumo energetico talmente basso da poter essere coperto in maniera significativa da energia prodotta da fonti rinnovabili localmente.

Ma nel contesto dell’UE circa il 35% degli edifici ha più di 50 anni e quasi il 75% del parco immobiliare è inefficiente dal punto di vista energetico. Allo stesso tempo, solo l’1% circa del patrimonio edilizio viene ristrutturato ogni anno: questo tasso deve almeno raddoppiare rapidamente se vogliamo ottenere gli obiettivi di decarbonizzazione del settore edilizio europeo.

I benefici degli interventi di efficienza energetica non si limitano alla riduzione delle emissioni. Il settore delle costruzioni genera circa il 9% del PIL europeo e rappresenta direttamente 18 milioni di posti di lavoro diretti. Oltre il 70% del valore aggiunto nel settore edile dell’UE è generato da Piccole Medie Imprese. L’efficienza energetica degli edifici promuove circuiti economici virtuosi e locali e contribuisce a ridurre la dipendenza dalle fonti fossili (e dai paesi esportatori). Gli interventi di efficienza energetica sono normalmente economicamente convenienti, se si considera la vita utile degli interventi stessi (i risparmi generati negli anni sono superiori ai costi iniziali).

Edifici ristrutturati ed efficienti migliorano inoltre la qualità della vita, riducono la povertà energetica e i rischi sanitari per essa connessi. Recenti studi mostrano infatti «un incremento della probabilità di contrarre malattie all’apparato respiratorio e cardiovascolare» per persone in condizione di povertà energetica (con un ovvio aggravio di costi sul sistema sanitario nazionale).

Per questo motivo la Commissione e il Parlamento Europeo, dopo aver lanciato alcune iniziative per stimolare l’aumento del tasso annuo di ristrutturazione come la Renovation wave o il Nuovo Bauhaus Europeo hanno ritenuto di dover progressivamente inserire degli obblighi di intervento sul patrimonio residenziale esistente, a partire dalla frazione meno efficiente. Perché questo meccanismo possa funzionare in maniera efficace servono ancora diversi passaggi, alcuni tecnici e alcuni politici. Prima di tutto serve confermare l’accordo di Consiglio (quindi dei governi degli Stati Membri), Commissione e Parlamento sul testo della nuova direttiva (che in Italia è spesso chiamata “Case Green”). Poi serve ridefinire un sistema di classificazione energetica coerente tra i vari stati membri: la proposta è che nella classe peggiore (G) siano inclusi solo il 15% degli edifici esistenti (in Italia al momento sono oltre il 30%). E infine gli Stati Membri dovranno definire un programma di sostegno economico e finanziario agli investimenti in modo che i cittadini che possono usare fondi propri siano stimolati a farlo e quelli che invece non hanno risorse economiche disponibili possano essere supportati dall’intervento diretto dello Stato.